Chiedere all’altro “come sta” è diventato ormai un convenevole nella nostra cultura. E’ una domanda che possiamo sentirci rivolgere e che poniamo agli altri più volte nel corso della stessa giornata.
Siamo così abituati a questi suoni che raramente ci soffermiamo a considerare il ventaglio di risposte che potrebbero seguire. Tant’è che la risposta più comune è “Bene, grazie”. E quando questa non arriva è facile sprofondare nell’imbarazzo, come se non fosse possibile aspettarci che qualcosa possa andare storto.
Non solo. Spesso siamo noi stessi i primi a soffocare i pensieri più istintivi, quelli che davvero vorremmo esprimere . Così mettiamo una maschera e offriamo all’altro uno sguardo piuttosto superficiale.
Badiamo bene, questo può accadere non solo tra persone che non si vedono da tempo, o che non sono in confidenza. Accade purtroppo anche con coloro che più ci sono vicini. Sembra che, in generale, siamo molto poco abituati a tollerare la sofferenza, sia nelle nostre vite che in quelle altrui.
“Stare male” è di fatti un contenuto scomodo, che nel corso degli ultimi secoli abbiamo un po’ tentato di eclissare. Il progresso, la tecnologia, le scoperte ci hanno molto sostenuti in questo. Non siamo quasi più abituati a considerare che le cose possano anche non andare per il verso giusto o semplicemente che siamo “umani” e, in quanto tali, prima o poi viviamo tutta la gamma di sentimenti che caratterizza la condizione umana. In tale senso anche i momenti di crisi fanno parte della nostra esistenza e non è certo sotterrare qualcosa che ci consente di passare oltre.
Infatti ciò che non viene attraversato ed elaborato adeguatamente resta a disturbarci, a volte in maniera poco chiara. Spesso questo avviene attraverso la sensazione che qualcosa, dentro di noi, non è al suo posto.
Ecco, è a partire da questa consapevolezza che possiamo ridefinire il nostro percorso, un po’ come se il nostro navigatore interno ci stesse indicando che il percorso su cui ci trovavamo va “ricalcolato”. In tal senso proprio quelle sfumature indigeste, quei sintomi fastidiosi, possono essere letti con una luce diversa: possiamo arrivare a vederli come un alleato, una parte di noi che ci sta suggerendo di mettere mano alla nostra vita e rimaneggiarla.
Come disse F. Nietzsche “Bisogna avere un caos dentro di sé per generare una stella danzante.”
Forse allora negare la possibilità di entrare in contatto con le parti più dolorose o scomode nostre e altrui, è negare la possibilità di capire meglio quello che sta accadendo e da lì ripartire per dare vere e proprie svolte alla nostra vita.
© Dr.ssa Sara Azzali
Psicologa Psicoterapeuta
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