Recentemente è uscito un nuovo singolo di J-Ax che racconta l’esperienza dell’infertilitá di coppia e della procreazione medicalmente assistita (PMA).
Ho lavorato per anni in un centro PMA e tutt’oggi mi occupo privatamente di questo ambito. Per questo non ho provato per nulla lo stupore che molti hanno espresso a seguito dell’uscita del disco. Chi lavora in quest’area è profondamente consapevole di quante siano le persone che vivono questo dolore, dolore che non risparmia nessuno, famosi o meno che sia.
Eppure sembra che questa canzone rompa una sorta di tabù rispetto un argomento di cui sembra quasi impossibile parlare. Spesso la difficoltà di avere figli viene taciuta, tanto che ci si arriva a stupire che un personaggio famoso, piuttosto che il nostro vicino di casa, o ancora un nostro famigliare, possa svolgere un trattamento di PMA.
In realtà i numeri parlano chiaro: circa 1 coppia su 5 vive o ha vissuto un’infertilitá di coppia (Cecotti, 2004). Spesso nei reparti, o nella sala d’attesa di uno studio privato, si incontrano persone che si conoscono ma di cui non si sarebbe mai sospettato condividessero le stesse difficoltà. Del resto molte coppie raccontano quanto sia dura mettere gli altri al corrente di quanto si sta vivendo, anche quando si tratta delle persone più care.
J Ax lo racconta bene, cantando queste parole:
“Quand’è che ci fate un figlio?
tutti la stessa domanda
Io trattenevo la rabbia
Perché avrei voluto spaccargli la faccia
Avevo perso da mò la speranza
Non sopportavo più tutto quel dramma”
Penso che questo sia molto rappresentativo di quello che in tanti sperimentano. Nella nostra epoca la tecnologia tende a creare l’illusione di poter controllare tutto. Il progresso, in tutti i suoi ambiti, negli ultimi decenni ha avuto una crescita esponenziale, impareggiabile rispetto al passato. Questo rende però ancora più frustrante il momento in cui si trova di fronte a un limite invalicabile.
Spesso, se non si è diretti interessati di queste vicende, ci si dimentica che fare figli non è solo una scelta.
Alcuni figli arrivano quando non lo si desidera, altri figli non arrivano sebbene li si desideri ardentemente. E la domanda “Perché non arriva un figlio?” fa così soffrire perché non piove improvvisamente dal mondo esterno: i due partner della coppia sono i primi a porsi questo dilemma. Provate a immaginare cosa significa per una coppia sentir di dover dare a qualcuno una spiegazione che in tanti casi nemmeno c’è.
Darsi una spiegazione è un tassello importante perché, al di là della diagnosi medica, ha a che fare con la storia che costruiamo di noi stessi e quindi col senso che diamo a noi come persona e alla nostra posizione nel mondo. E questo è quello che ci tiene in piedi, che ci fa alzare la mattina: sentire che ciò che facciamo e quello che viviamo ha senso.
A questo proposito è bene fare attenzione a una dinamica che facilmente accade in questo contesto, riconducibile essenzialmente alla parola “colpa”. Se si attraversa una situazione di questo tipo è fondamentale tenere presente che a livello psicologico, uno dei pericoli cui si può andare incontro sta proprio nel provare a dare risposta cercando un presunto colpevole. Questo può accadere, anzi a volte accade benché non lo si vorrebbe. Non parlo solamente delle situazioni in cui ci si lancia addosso la “colpa”, come fosse una patata bollente. Mi riferisco anche a quelle situazioni in cui per primi ci si arrovella su sensazioni di colpevolezza cui invece sarebbe importante non dare cittadinanza. Avere un problema a livello fisiologico non può essere considerato una nostra responsabilità : è forse nostra responsabilità avere i capelli biondi, piuttosto che gli occhi azzurri? Essere alti o bassi, portare il 35 o il 40 di scarpe?
Ma credo anche che spesso la “colpa” venga tenuta in vita perché, anche se in maniera distorta, risponde a un meccanismo adattivo: cercare di dare significato a quello che ci succede. Dare la colpa, all’altro, a entrambi, o a sé stessi, per quanto doloroso e brutale, può diventare un modo di leggere quello che ci accade. Purtroppo questo è però un sentiero che non porta ad un’elaborazione profonda dei sentimenti che albergando dentro di sé e tra la coppia.
La possibilità di poter rispondere alla domanda che ferisce la coppia, quel “perché non ci fate un figlio?” penso riguardi prima di tutto la difficoltà a dare un senso, una narrazione, a quanto si sta vivendo.
A volte l’altro ci pungola, si mostra invadente, mosso da invidia o altri sentimenti scomodi. Altre volte certe affermazioni o domande non sono che l’espressione di un pensiero a voce alta detto con leggerezza, spesso quella leggerezza che viene da un passato in cui quella situazione non è stata vissuta con problematicità. Ed è storia vecchia: difficilmente chi non vive qualcosa riesce a capire cosa si prova!
La rabbia di cui parla J Ax, la paura, la tristezza, forse anche la vergogna, penso riguardino prima di tutto chi vive in prima persona l’infertilità. E la paura che aprirsi potrebbe farci stare solo più male. Invece spesso è il contrario: poter affrontare i propri sentimenti permette di non venirne travolti. L’autore non solo ha messo mano ai suoi vissuti: li ha tradotti in versi e strofe orecchiabili, che addirittura potremmo trovarci a cantare mentre guidiamo la macchina, con la radio accesa. Per questo lo stupore relativo al testo di questa canzone penso dovrebbe avere a che fare non tanto con il gossip riguardante la vita privata di questo vip e della sua compagna, ma piuttosto con la toccante capacità di elaborare un evento di vita tanto doloroso e trasformarlo, al di là dei gusti musicali e poetici, in un racconto ricco di emozioni. In grado di farci emozionare.Anteprima
© Dr.ssa Sara Azzali
Psicologa Psicoterapeuta
Studio di Psicologia a Parma e Fidenza (PR)
Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo su uno di questi social e aiutami a far conoscere il mio blog! 🙂
Bibliografia
Cecotti, M. (2004). Procreazione medicalmente assistita. Roma: Armando.